Differenza tra permessi legge 104 e congedo straordinario

L’Inps, con propria circolare n. 36 del 7.3.2022, –  https://enasc.it/wp-content/uploads/2022/03/L.-104-Permessi-e-cong.straor.-altre-concessioni-2022-Circolare-Inps-n.36_del_07-03-2022.pdf  –  in attuazione delle disposizioni di cui alla legge n. 76/2016,  e delle quali sono state fornite le istruzioni operative per la concessione dei permessi di cui alla legge n. 104/1992 e del congedo straordinario ai sensi dell’articolo 42, comma 5, del D.lgs n. 151/2001 in favore del lavoratore dipendente del settore privato, parte di un’unione civile, che presti assistenza all’altra parte, con la presente circolare fornisce nuove istruzioni operative finalizzate al riconoscimento dei suddetti benefici in favore dei parenti dell’altra parte dell’unione civile.

La legge sulle unioni civili (legge n. 76/2016) ha introdotto la possibilità di contrarre “matrimonio” tra persone dello stesso sesso facendo discendere gli stessi diritti e doveri sanciti per i coniugi. L’equiparazione, tuttavia, è stata incompleta dato che la legge n. 76, non menzionando l’articolo 78 del codice civile, aveva negato la costituzione di un rapporto di affinità tra la parte dell’unione civile e i parenti dell’altro.

Di conseguenza l’Istituto aveva precisato (Circ. Inps n. 38/2017) che, a differenza di quanto avviene per i coniugi, la parte di un’unione civile avrebbe potuto usufruire dei permessi di cui alla legge n. 104/1992 e del congedo straordinario di cui all’articolo 42, co. 5 del dlgs n. 151/2001 unicamente nel caso in cui presti assistenza all’altra parte dell’unione e non nel caso in cui l’assistenza sia rivolta ad un parente dell’unito.

Dal momento che l’articolo 78 del codice civile, che individua il rapporto di affinità tra il coniuge e i parenti dell’altro, non viene espressamente richiamato dalla legge n. 76/2016, nella circolare n. 38/2017 era stato seguito l’orientamento, a suo tempo condiviso con il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, per cui tra una parte dell’unione civile e i parenti dell’altro
non si costituisce un rapporto di affinità.

Pertanto, a differenza di quanto avviene per i coniugi, era stato previsto che la parte di un’unione civile potesse usufruire dei permessi di cui alla legge n. 104/1992 unicamente nel caso in cui prestasse assistenza all’altra parte dell’unione e non nel caso in cui l’assistenza fosse rivolta ad un parente dell’unito, non essendo riconoscibile in questo caso rapporto di affinità.

Successivamente, su espresso parere del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali viene sottolineata la necessità di modificare tale posizione, potendosi configurare altrimenti una discriminazione per orientamento sessuale.

L’orientamento seguito finora, infatti, seppure attuativo di una norma nazionale, sarebbe in contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale dell’Unione europea che, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio di parità di trattamento, vieta la discriminazione basate sull’orientamento sessuale, in particolare per quanto concerne l’occupazione, le condizioni di lavoro e la retribuzione (Direttiva 2000/78/CE attuata in Italia con il D.lgs 9 luglio 2003, n. 216).

Di conseguenza l’INPS, correggendo le precedenti istruzioni, precisa che i permessi mensili di cui all’articolo 33, co. 3 della legge n. 104/1992 vanno riconosciuti non solo per assistere il partner disabile ma anche, negli stessi casi previsti per i coniugi, per assistere i parenti disabili del partner entro il secondo grado (cioè suoceri, nonni del partner ed i cognati). Allo stesso modo tali soggetti avranno diritto ad assistere l’altra parte dell’unione civile.

Idem per il congedo straordinario biennale di cui all’articolo 42, co. 5 del dlgs n. 151/2001: il diritto va riconosciuto all’unito civilmente oltre che nel caso in cui in cui questi presti assistenza all’altra parte dell’unione, anche nel caso in cui rivolga l’assistenza a un parente dell’unito (entro il limite del terzo grado e fermo restando il requisito della convivenza) e viceversa.

Invece, per i conviventi di fatto (che possono anche non essere dello stesso sesso) i quali – a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 213/2015 – non varia nulla, continuando ad usufruire soltanto dei soli permessi mensili di cui alla legge n. 104/1992 (e non anche del congedo straordinario). In tal caso, infatti, non nasce alcun rapporto di affinità, non essendo la “convivenza di fatto” un istituto giuridico, ma “una situazione di fatto tra due persone che decidono di formalizzare il loro legame affettivo stabile di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale”.

Pertanto, il “convivente di fatto” può usufruire dei permessi di cui alla legge n. 104/1992 unicamente nel caso in cui presti assistenza al convivente e non nel caso in cui intenda rivolgere l’assistenza a un parente del convivente.

Allegato Tabella Congedo Straordinario   https://enasc.it/wp-content/uploads/2022/03/TABELLA-CONGEDO-STRAORDINARIO.pdf

Come funziona il congedo straordinario legge 104?

Congedo straordinario legge 104: cosa spetta e come è pagato Il familiare del disabile grave ha diritto, richiedendo il congedo straordinario, a due anni di assenza dal lavoro retribuiti in base allo stipendio dell'ultimo mese precedente alla richiesta di astensione dal lavoro.

Cosa non si può fare durante il congedo straordinario?

Durante i giorni di permesso 104 non si possono svolgere attività ludiche (andare al bar con gli amici, fare un allenamento in palestra, fare una gita). Certo il giorno di permesso non è una prigionia: non si può impedire al caregiver di uscire di casa, magari per farsi quattro passi e prendere una boccata d'aria.

Come viene pagato il congedo straordinario 104?

L'indennità per il congedo straordinario corrisponde alla retribuzione ricevuta nell'ultimo mese di lavoro che precede il congedo, esclusi gli emolumenti variabili della retribuzione, entro un limite massimo di reddito rivalutato annualmente.

Quanti giorni di congedo straordinario si possono prendere?

Durata del beneficio Il congedo non può superare la durata complessiva di 2 anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell'arco della vita lavorativa. Il datore di lavoro per concedere il congedo ha 60 giorni di tempo. Ovviamente questo è il tempo massimo che ha a disposizione.