Lo è il socio non effettivo


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Il recesso è un atto con il quale un socio ottiene la fuoriuscita dalla società, con cessazione della propria qualità di socio. Il diritto di recesso del socio costituisce una sorta di contrappeso al principio maggioritario che governa il funzionamento delle società, e consente al socio che si veda imposta la modifica delle basi essenziali dell’organizzazione societaria di liquidare il proprio investimento. Il recesso da una società ha natura eccezionale, potendo essere  legittimamente esercitato solo per alcune precise motivazioni previste dalla legge – che variano a seconda del tipo di società – e dallo statuto della singola società. Il recesso del socio ha effetto in momenti diversi a seconda della motivazione del recesso stesso, della tipologia di società e dei soggetti nei cui confronti viene comunicato (società, soci, terzi). La cessazione dello stato di socio fa venir meno tutti i diritti sociali ma attribuisce al recedente il diritto al rimborso della partecipazione.

1. Cos’è il recesso del socio da una società e quali conseguenze provoca

Il recesso è un atto  con il quale un socio  ottiene lo scioglimento del vincolo sociale, cioè la fuoriuscita  della società con cessazione della propria qualità di socio.

Il diritto di recesso del socio  costituisce una sorta di contrappeso al principio maggioritario che governa il funzionamento delle società, e consente al socio che si veda imposta la modifica delle basi essenziali dell’organizzazione societaria di liquidare il proprio investimento.

In particolare, il recesso del socio da una società assolve due funzioni fondamentali:

  • la prima, di carattere giuridico, consiste nella possibilità del socio di far valere i propri interessi, garantendogli uno spazio di libertà e di dissenso nei confronti della maggioranza, attraverso l’esercizio di un diritto di exit;.
  • la seconda, di carattere economico è invece quella di attenuare i vincoli futuri del socio risparmiatore, agevolando il disinvestimento effettuato al momento dell’ingresso in società..

A differenza di altre forme di uscita del socio dalla società (come la cessione della quota o l’accordo di tutti i soci), il recesso è un atto di volontà unilaterale, in quanto attraverso di esso il socio fuoriesce dalla società (perdendo quindi la sua qualità di socio) attraverso una sua comunicazione volontaria e unilaterale.

Oltre ad essere un atto unilaterale del socio, il recesso presenta le seguenti caratteristiche:

  • è limitato, in quanto è ammesso nei casi e nei modi stabiliti dalla legge o dal contratto sociale;
  • è potestativo, in quanto può essere esercitato a discrezione del socio nei casi previsti e determinata i suoi effetti indipendentemente dal consenso degli altri soci;
  • è irrinunciabile preventivamente;
  • è insurrogabile, non essendo consentito il suo esercizio da parte di terzi in luogo del socio stesso;
  • è individuale, perché compete a qualunque socio e non solo ad alcuni di essi;
  • è indivisibile, in quanto ritenuto esercitabile per l’intera partecipazione sociale con la conseguente uscita del socio dalla società.

Il recesso da una società ha natura eccezionale, e come tale è esercitabile solo per alcune precise motivazioni previste dalla legge – e che variano a seconda del tipo di società – e dallo statuto.

Una volta esercitato il recesso da parte del socio, questi perde la sua qualità di socio, con effetto in momenti diversi a seconda della motivazione del recesso, della tipologia di società e dei soggetti nei cui confronti viene comunicato (società, soci, terzi).

La cessazione dello stato di socio fa venir meno tutti i diritti sociali (partecipazione alle decisioni, voto, impugnativa, ecc.), ma attribuisce al recedente il conseguente diritto di credito al rimborso della partecipazione.

2. Il recesso nelle società di persone (Società semplici, S.n.c., S.a.s.)

Nelle società di persone (società semplici, S.n.c., S.a.s.) il recesso rappresenta lo strumento principale che consente al socio di uscire dalla società senza che vi sia necessità di trovare un socio o un terzo disposti a rilevare la quota.

La cessione della quota a un terzo nelle società personali (ancor più che nelle società di capitali) è infatti alquanto problematico. Tali società come è noto, si fondano sul rapporto fiduciario esistente tra i soci, i quali decidono di realizzare i propri obiettivi con soggetti accomunati dagli stessi interessi, scelti per le proprie qualità personali, professionali ed anche caratteriali. La fuoriuscita di un socio da tali società tramite cessione della quota a terzi comporta quindi, oltre ad una difficoltà iniziale nel trovare un soggetto che accetti di entrare in società ed assumerne i rischi, una ulteriore difficoltà consistente nell’accettazione del nuovo socio da parte di quelli rimasti a far parte della società.

Peraltro, il recesso di un socio è un evento di particolare rilievo nelle società di persone. In particolare, qualora il socio recedente sia una figura preminente nella società, la sua uscita potrebbe determinare, oltre all’obbligo di liquidazione della quota, un forte ridimensionamento del volume d’affari della società, o addirittura lo scioglimentodella stessa, allorquando non sia possibile proseguire l’attività sociale in sua assenza.

In caso di recesso del socio la società è innanzitutto tenuta a liquidare la sua quota, con tutto ciò che questo comporta in termini di fuoriuscite finanziarie e di perdita di liquidità della società stessa.

In secondo luogo, si pone il problema di sostituire il socio receduto, il che può essere molto complicato ad esempio nel caso di società composta da due soli soci, venendo in tal caso meno il presupposto stesso della permanenza in vita della società, rappresentato dalla pluralità dei partecipanti. Tale problema deve essere risolto in tempi brevi, in quanto, ai sensi dell’art. 2272 c.c., per evitare lo scioglimento della società la pluralità dei soci deve essere ricostituita entro i sei mesi successivi al momento in cui la stessa è venuta a mancare.

Anche in presenza di più di due soci, in caso di recesso dell’amministratore unico, lo scioglimento della società, ancorché non previsto legislativamente, è una conseguenza inevitabile della paralisi causata dal venir meno dell’organo gestorio il quale, pertanto, dovrà essere immediatamente sostituito. La stessa conseguenza si verificherà qualora in una S.a.s. vengano a mancare tutti i soci accomandatari, anche se in tal caso il codice civile impone la nomina di un amministratore provvisorio che cesserà dalle sue funzioni non appena vi sia almeno un socio accomandatario in grado di compiere le operazioni di ordinaria e straordinaria amministrazione.

Nelle società di persone il recesso è disciplinato dall’art. 2285 c.c., che, pur riferendosi specificamente al recesso del socio nella società semplice, si applica anche alle altre società personali in forza del rinvio operato dall’art. 2293 c.c. Tale norma prevede alcuni limiti all’esercizio del diritto di recesso da parte del socio, per non pregiudicare gli interessi della società.

Il primo comma dell’art. 2285 c.c. prevede due casi in cui è consentito al socio recedere senza necessità di fornire una motivazione, col solo obbligo di un congruo preavviso:

  • quando la società sia contratta a tempo indeterminato;
  • quando la società ha durata pari a tutta la vita di uno dei soci.

Il secondo comma dell’art. 2285 c.c.  prevede invece due ulteriori cause di recesso, che implicano una particolare motivazione ma che non sono sottoposte a preavviso:

  • il recesso con giusta causa;
  • il recesso convenzionale.

Infine, vi sono due ulteriori casi di recesso non disciplinate dall’art. 2285 c.cc., ovvero:

  • il recesso del socio minore o incapace;
  • il recesso per proroga tacita della scadenza della società.

Al di fuori di tali casi, un socio può recedere da una società solo con il consenso degli altri soci.

2.1 Il recesso dalle società a tempo indeterminato o per tutta la vita di un socio

Il recesso da una società contratta a tempo indeterminato (art. 2285 primo comma c.c.) è finalizzato ad impedire che il socio non sia vincolato alla società in modo perpetuo; in tal caso, un socio può esercitare il diritto di recesso ad nutum (cioè senza necessità di motivazione) e in qualsiasi momento.

Tale ipotesi può  verificarsi solo per la società semplice, in quanto la società in accomandita semplice e la società in nome collettivo prevedono l’indicazione di un termine di durata, ai fini della validità del contratto sociale; tuttavia, anche per tali società può applicarsi l’ipotesi di recesso in esame qualora i soci continuino ad operare anche dopo la scadenza del termine di durata indicato nell’atto costitutivo.

Questa ipotesi di recesso si applica anche in altre situazioni nelle quali, nonostante che la società non sia a tempo indeterminato, producono ugualmente l’effetto di vincolare il socio in modo perpetuo, ovvero:

  • termine di durata della società così lontano nel tempo da superare l’aspettativa di vita di uno dei soci (tale criterio è dinamico ed in continua evoluzione, in base all’aspettativa di vita);
  • durata della società stabilita in funzione dell’accadimento di un evento possibile ma non certo;
  • società contratta per un tempo pari a quello necessario affinché si realizzi l’oggetto sociale;
  • clausola che include il diritto di recesso tra quelli spettanti al socio per tutta la durata della sua vita.

In questi casi, è possibile limitare il diritto di recesso del socio sotto il profilo temporale, per salvaguardare l’interesse della società, soprattutto quando vi sia un socio di particolare rilevanza; è quindi possibile apporre un termine finale entro il quale esercitare il diritto, ad esempio quando per la realizzazione dell’oggetto sociale i soci abbiano bisogno di garanzie circa la presenza o meno dei soggetti interessati, oppure stabilire un termine iniziale a partire dal quale il recesso può essere esercitato (ad esempio quando l’apporto personale di uno dei soci, nel primo periodo di esercizio dell’attività, appare necessario o comunque molto utile).

Il recesso previsto nel primo comma dell’art 2285 c.c. deve essere comunicato con un preavviso di almeno tre mesi. Tale termine minimo è inderogabile (a prescindere dalla diversa data di efficacia riportata nella dichiarazione di recesso del socio), in quanto finalizzato a salvaguardare l’affidamento che ciascun socio ha fatto sulla continuità dell’attività comune; durante tale periodo gli altri soci possono valutare se sia più opportuno proseguire l’attività sociale, ovvero liquidare l’intera società con conseguente partecipazione alla ripartizione del residuo attivo.

Durante il termine di preavviso, il socio che ha esercitato il recesso resta tale a tutti gli effetti di legge. I soci possono prevedere un termine maggiore di preavviso rispetto a quello minimo di 3 mesi; non è comunque richiesta l’accettazione degli altri soci affinché il recesso sia efficace.

2.2 Il recesso per giusta causa

L’art. 2285 secondo comma c.c. regolamenta il recesso del socio per giusta causa, senza peraltro prevedere i criteri in base ai quali può individuarsi una giusta causa.

Tali criteri sono stati elaborati dalla giurisprudenza, la quale ha adottato un approccio molto restrittivo, identificando la giusta causa nella legittima reazione ad un comportamento scorretto di altri soci, tale da rendere obiettivamente difficile la prosecuzione del rapporto e da incrinare ogni caso trattarsi di atti e condotte e idoneo a incrinare la fiducia del socio. Non è quindi sufficiente un semplice disaccordo o un motivo pretestuoso di dissenso, occorrendo che il recesso si colleghi all’altrui violazione di obblighi contrattuali o di doveri di fedeltà, lealtà, diligenza o di correttezza che incidono sulla natura fiduciaria del rapporto.

A differenza delle ipotesi relative a società a tempo indeterminato o per una durata pari a tutta la vita di uno dei soci, pertanto, il recesso per giusta causa necessita di una motivazione espressa, in base alla quale desumere e valutare la validità delle ragioni che spingono il socio ad esercitare il suo diritto.

Sono state ritenute giusta causa di recesso in giurisprudenza tra l’altro le seguenti ipotesi:

  • mancata comunicazione da parte dei soci amministratori del bilancio d’esercizio e del rendiconto, così come previsto dall’art. 2320 comma 3, c.c.;
  • mancata o irregolare tenuta della contabilità civilistica e fiscale da parte degli amministratori;
  • non diligente gestione della società da parte degli amministratori;
  • mancata esclusione del socio quando se ne verificano i presupposti;
  • mancata autorizzazione all’esercizio di un’attività concorrente con quella della società, concessa precedentemente ad altri soci con consenso unanime;
  • mancata autorizzazione all’utilizzo di beni sociali a fini personali mentre agli altri soci era stata accordata con consenso unanime;
  • impedimenti al socio nella consultazione dei documenti amministrativi e contabili o mancata o insufficiente informativa sullo svolgimento degli affari sociali per i soci non amministratori;
  • furto di beni sociali commessi da uno o più soci;
  • mancato coinvolgimento dei soci non amministratori in decisioni di rilievo per la vita sociale;
  • scarso impegno nell’esecuzione della prestazione lavorativa dei soci;.

Il recesso per giusta causa ha efficacia immediata non appena la relativa comunicazione giunge agli altri soci, non essendo previsto alcun termine di preavviso, salvo che tale termine sia indicato volontariamente dal socio che recede.

2.3 Il recesso convenzionale

Un socio può infine recedere dalla società nei casi (ulteriori rispetto a quelli disciplinati dalla legge) previsti nell’atto costitutivo della società. I soci possono infatti ampliare le possibilità di exit dalla società, prevedendo ad esempio la possibilità di recedere nei seguenti casi:

  • raggiungimento dell’età pensionabile;
  • modifiche al sistema di amministrazione;
  • perdita del capitale sociale;
  • mancata distribuzione di utile per un certo periodo di anni;
  • avere un certo numero di figli;
  • trovarsi in gravi e precise difficoltà familiari,

etc.

In questi casi, il termine di efficacia del recesso è liberamente disciplinato dai soci; può essere quindi con effetto immediato, oppure può essere previsto un periodo di preavviso.

E’ possibile richiedere una somma di denaro da versare come corrispettivo per l’introduzione di una particolare possibilità di recesso in favore di un socio.

Non è invece possibile prevedere la possibilità di recesso ad nutum, cioè senza alcuna motivazione. La presenza di un recesso ad nutum determinerebbe infatti per la società un rischio imprevedibile, esponendola a costi derivanti dalla necessità di effettuare pagamenti ai soci che intendono recedere, con conseguente possibile impoverimento della società, a fronte delle esigenze di affidamento dei terzi e delle garanzie di solvibilità

2.4 L’efficacia del recesso

Nei confronti degli altri soci, il recesso ha effetto dal momento in cui essi hanno conoscenza del recesso esercitato dal socio, o al più tardi alla scadenza dell’eventuale periodo di preavviso.

Il recesso deve essere comunicato a tutti i soci personalmente e non può essere successivamente revocato dal socio, a meno che ciò non sia previsto nell’atto costitutivo o vi sia la volontà unanime di tutti i soci.

Nei confronti dei terzi invece il recesso del socio non è opponibile finché non ne sia stata data adeguata pubblicità; fino a tale momento, il socio risponde delle obbligazioni contratte dalla società, anche dopo avere esercitato il recesso.

Per le società semplici non è prevista modalità particolare di pubblicità, essendo sufficiente che il recesso sia posto a conoscenza dei terzi con mezzi idonei (ad esempio una semplice comunicazione scritta). Per le S.a.s. e le S.n.c. è invece richiesta l’iscrizione presso il registro delle imprese, da eseguirsi entro 30 giorni dalla comunicazione del recesso agli altri soci.

Ai sensi dell’art. 2300 c.c., l’onere di richiedere l’iscrizione del recesso presso il registro delle imprese spetta agli amministratori, e non al socio uscente; quest’ultimo può tuttavia sostituirsi all’amministratore che non agisca in modo tempestivo.

L’opponibilità ai terzi del recesso è importante nel caso di impresa in crisi. Il recesso del socio di società di persone, di cui non sia stata data pubblicità, ai sensi dell’art. 2290, comma 2, c.c., non produce i suoi effetti al di fuori dell’ambito societario; conseguentemente, il recesso non adeguatamente pubblicizzato non è idoneo ad escludere l’estensione del fallimento ai sensi dell’art. 147 L. fall. A tal proposito è irrilevante che il recesso sia avvenuto oltre un anno prima della sentenza dichiarativa di fallimento, posto che il rapporto societario, per quanto riguarda i terzi, a quel momento è ancora in atto.

Anche sotto il profilo tributario, la mancata regolarizzazione del recesso in ter-mini di iscrizione presso il registro delle imprese può provocare effetti negativi, in quanto residuano in capo al socio receduto tutti gli obblighi fiscali maturati fino al periodo di imposta nel quale si sia provveduto all’adeguata pubblicizzazione del recesso.

2.5 La liquidazione della quota

Ai sensi dell’art. 2289 c.c., il socio receduto ha diritto alla liquidazione della propria quota da parte della società, ovvero ad una somma di denaro che rappresenti il valore della quota; non sono invece ammesse restituzioni in natura, per evitare che il socio recedente possa pretendere la dismissione di beni aziendali necessari all’attività sociale, minando l’integrità del patrimonio comune.

In sede di liquidazione deve tenersi conto della situazione patrimoniale della società aggiornata al momento del recesso, ossia al giorno in cui lo scioglimento diventa efficace (il che, come si è visto, potrà a seconda dei casi avvenire contestualmente alla comunicazione od al termine del periodo di preavviso).

Il socio resta tale fino allo scioglimento effettivo del vincolo, essendo quindi obbligato di rispondere, in termini di diminuzione od aumento del patrimonio sociale, anche delle operazioni commerciali compiute durante il periodo del preavviso.

Per la liquidazione è necessaria la valutazione del patrimonio netto, con la quale si individua il valore di mercato dell’intera azienda posseduta dalla società. La giurisprudenza ritiene a tal fine necessario un bilancio straordinario della società, redatto tenendo conto del valore di funzionamento dell’azienda sociale. Mentre infatti i dati del bilancio d’esercizio non sono generalmente in grado di fornire una fotografia esatta del valore del patrimonio sociale, i principi che occorre seguire per valorizzare la quota del socio receduto devono mostrare con esattezza il valore corrente dei beni costituenti il patrimonio comune.

Una voce fondamentale di questo particolare prospetto è costituita dall’avviamento, inteso come attitudine di un complesso organizzato di beni a produrre reddito. Per la determinazione dell’avviamento si potrà tener conto del reddito degli ultimi anni dell’azienda, congiuntamente ad una valutazione prospettica dei possibili incrementi futuri.

Una volta determinato l’ammontare complessivo dei beni aziendali, materiali od immateriali che siano, occorre suddividere il patrimonio tra i soci. La quota spettante al socio receduto è di regola commisurata all’entità dei conferimenti. Qualora il socio uscente abbia concesso in godimento un bene di sua proprietà per tutta la durata della società, nel determinare la quota a lui dovuta occorrerà considerare anche il beneficio che la società ha ricevuto dal diritto di godimento sul bene in questione, senza per questo determinarne il valore di mercato, trattandosi pur sempre di un bene di proprietà del socio.

Il socio receduto ha diritto di ottenere un prospetto delle operazioni attraverso le quali si è giunti alla determinazione della quota a lui spettante. In caso di contrasti sull’interpretazione dei criteri e delle poste contabili, il socio può rivolgersi all’autorità giudiziaria, e, nelle more del giudizio, ha diritto ad ottenere ex art. 186-bis c.p.c., il pagamento della somma spettantegli sulla base del prospetto rilasciato dalla società, in quanto somma dichiarata come dovuta e non contestata dallo stesso debitore.

In assenza di contenzioso, il termine massimo entro il quale la somma liquidata quale controvalore della quota dev’essere versata al receduto è positivamente stabilito in sei mesi dalla data di efficacia del recesso (art. 2289, comma 4°, c.c.).

Nel tempo intercorrente tra il valido esercizio del diritto di recesso e la liquidazione della quota, il socio recedente resta titolare dei diritti sociali non incompatibili con la dichiarazione di recesso e per l’esercizio dei quali vanti un concreto interesse ad agire, anche relativo al pericolo che dal depauperamento del patrimonio sociale derivi un rischio attuale per l’effettivo rimborso della quota oggetto di recesso.

Ai sensi dell’art. 2289 terzo comma c.c., sono a carico del socio receduto gli utili e le perdite inerenti ad “operazioni in corso”, cioè a tutte le transazioni e gli affari iniziati mentre il socio era partecipe alla società e non ancora conclusi al momento in cui lo stesso ha deciso di sciogliere il vincolo societario, i quali continuano a produrre effetti giuridici e patrimoniali.

Concorrono quindi alla valorizzazione della quota del socio receduto le sopravvenienze attive e passive che trovano la loro fonte in situazioni già esistenti a quella data, quali ad esempio le somme versate dalla società in base a condono fiscale attinente a violazioni commesse precedentemente al recesso, anche se richiesto in epoca successiva; ciò in quanto la relativa istanza e gli ulteriori adempimenti connessi sono rivolti ad estinguere un debito già sorto.

La partecipazione agli utili e alle perdite conseguenti alle operazioni in corso dovrà avvenire nella stessa misura in cui il socio receduto partecipava ai risultati economici dell’attività sociale quando era ancora parte della compagine societaria.

Tuttavia, è possibile che l’atto costitutivo e lo statuto deroghino a tele disciplina, prevedendo, ad esempio, che la liquidazione della quota avvenga solo sulla base dell’ultimo bilancio approvato, ovvero che la determinazione del valore della quota sia rimessa ad un terzo in veste di arbitratore, o infine una liquidazione forfettaria degli utili o delle perdite risultanti dalle operazioni in corso.

Qualora nel termine di sei mesi entro il quale si deve procedere alla liquidazione della quota, gli effetti delle operazioni in corso non si siano ancora esauriti, dovrà farsi luogo ad una c.d. liquidazione provvisoria, provvedendo ai relativi conguagli allorché le stesse transazioni si siano concluse.

Dato l’interesse del socio uscente all’esito delle operazioni in corso, idoneo a riflettersi sul valore della quota spettategli, egli ha diritto di esigere che gli amministratori rendano il conto della gestione di suddetti affari, al fine di consentire la formazione, in nome e per conto della società, di una situazione patrimoniale straordinaria aggiornata, nel rispetto dei criteri di redazione del bilancio ed ai fini dell’assolvimento dell’onere della società di provare il valore della quota. In ogni caso, tuttavia, il socio receduto, avendo perso lo status di socio per effetto del recesso, non concorre in alcun modo alla gestione degli affari, né può esercitare alcuna forma di ingerenza sugli stessi.

3. Il recesso nelle S.p.A.

La riforma delle società di capitali del 2003 ha come è noto rinnovato l’assetto della disciplina delle società. Per ciò che attiene al recesso, il legislatore ha tutelato maggiormente la partecipazione del socio, sia con riguardo alla possibilità di scioglimento del vincolo, sia con riferimento all’adozione di criteri di liquidazione della quota più convenienti.

Un socio di S.r.l. o S.p.A. non può recedere dalla società se non per una delle cause previste dalla legge o dall’atto costitutivo.

3.1 Le cause di recesso previste dalla legge e inderogabili

Le cause legali e ineliminabili di recesso nelle S.p.A. previste dal primo comma dell’art. 2473 c.c. sono le seguenti.

  • La modifica dell’oggetto sociale, se essa comporta un cambiamento significativo dell’attività e dell’oggetto della società.

E’ idonea a giustificare il recesso del socio di S.p.A. una modifica che incida sulla sostanza dell’oggetto sociale, ad esempio sostituendo l’oggetto sociale originario con uno totalmente diverso, alterando le condizioni di rischio sulla base delle quali il socio aveva inizialmente deciso di aderire alla società, o riducendo l’oggetto sociale in modo da rendere non più conveniente la partecipazione alla società e da indurre il socio a preferire il disinvestimento.

La modifica dev’essere disposta con apposita delibera, la quale non deve necessariamente avere ricevuto concreta attuazione. il recesso spetta ai soli soci assenti o dissenzienti, che rivestano tale qualità da data antecedente rispetto all’assemblea che ha deliberato la modificazione statutaria.

  • La trasformazione della società

Spetta il recesso al socio azionista in caso trasformazione della S,p.A., termine che comprende anche il cambiamento del tipo societario, la scissione o la fusione della società.

  • La revoca dello stato di liquidazione, l’eliminazione di una o più cause di recesso previste dal successivo comma ovvero dallo statuto (ad esempio introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni statutariamente previste), il mutamento dei criteri di determinazione del valore dell’azione in caso di recesso, le modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione.

In queste di ipotesi, il recesso è volto a tutelare il diritto del socio al disinvestimento della propria partecipazione, nel caso di operazioni che comportino una variazione significativa delle condizioni patrimoniali e finanziarie del gruppo. Per queste decisioni non è necessaria l’unanimità, stante il diritto del socio non concorde di esprimere in modo netto il proprio dissenso uscendo dalla società.

  • Le società costituita a tempo indeterminato

Nel caso di società per azioni non quotate in un mercato regolamentato, l’art. 2437 c.c., dispone che, in caso di società contratta a tempo indeterminato, il socio potrà recedere con un preavviso di almeno centottanta giorni, ferma restando la possibilità di prevedere statutariamente un termine maggiore ma comunque non superiore ad un anno.

Tale possibilità si estende, per analogia, alle società contratte per un lunghissimo lasso di tempo, tale da superare la normale durata della vita umana.

  •  Le società soggette a direzione e coordinamento

Ai sensi dell’art. 2497-quater c.c., il socio ha diritto di recedere in tre ipotesi:

  1. quando la società o l’ente che esercita l’attività in questione ha deliberato una trasformazione implicante il mutamento dello scopo e/o dell’oggetto sociale con una variazione sensibile delle condizioni economiche o patrimoniali della società;
  2. quando a favore del socio è stata emessa sentenza di condanna esecutiva verso chi esercita attività di direzione e coordinamento, purché il disinvestimento riguardi l’intera partecipazione;
  3. all’inizio o alla fine dell’attività di direzione e coordinamento, ove ne consegua un’alterazione delle condizioni di rischio.
  • L’introduzione o eliminazione di una clausola compromissoria

Per le delibere che sopprimono o modificano clausole compromissorie, il diritto di exit potrà essere esercitato solo dal socio dissenziente e non da quello astenuto.

3.2 Le cause di recesso previste dalla legge e inderogabili

L’art. 2347 comma 2 prevede che, qualora lo statuto non disponga diversamente, spetta al socio di S.p.A. il diritto di recesso in caso di proroga del termine di durata e di introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari.

In tali casi il diritto di recesso non spetta se lo statuto abbia previsto diversamente.

L’ipotesi di proroga del termine di durata riguarda la proroga deliberata prima dello spirare del termine di durata, ed è volto ad impedire ulteriori e strumentali rinvii della liquidazione della quota spettante al socio,

Spetta inoltre il recesso qualora vengano introdotti o rimossi eventuali vincoli alla circolazione delle azioni, attraverso l’adozione di clausole di gradimento, di prelazione o di liquidazione degli eredi del socio defunto, nonché per effetto di pattuizioni che incidano sulla negoziabilità delle azioni al fine di aumentare o consolidare la partecipazione societaria.

In questi casi è legittimato al recesso chi ha preso parte alla deliberazione esprimendo voto contrario, chi si è astenuto oppure chi è privo di diritto di voto, ma non agli assenti, salvo diversa previsione statutaria.

3.3 Le cause di recesso previste dallo statuto

Lo statuto delle società non quotate può prevedere ulteriori ipotesi di recesso del socio rispetto a quelle previste dalla legge, quali ad esempio:

  • l’ingresso della società in mercati regolamentati od il trasferimento della sede in altri continenti;
  • la conclusione di determinati affari;
  • il mancato ottenimento o la revoca di specifiche licenze ed autorizzazioni necessarie per l’avvio di particolari attività;
  • la rottura di importanti alleanze commerciali;
  • la conclusione o il mancato rinnovo di un accordo;
  • la concessione di garanzie o fideiussioni ai soci;
  • il raggiungimento o meno di determinati fatturati entro precisi limiti di tempo;
  • il compimento di determinate operazioni;
  • il mutamento del capitale di comando o dei soci amministratori;
  • un comportamento illegittimo da parte degli amministratori;
  • l’arresto degli amministratori o la dimissione del consiglio;
  • la modifica delle regole di amministrazione;
  • la costituzione di patrimoni destinati a specifici affari;
  • l’assunzione di decisioni relative ad operazioni che impegneranno la società ad un acquisto superiore ad un determinato ammontare;
  • limitazioni di diritti e facoltà del socio;
  • raggiungimento di una certa età;
  • elezione ad una particolare carica amministrativa o politica;
  • possesso continuativo di azioni per un certo numero di anni,

etc.

In questi casi, le parti sono libere di determinare la disciplina da applicare; in difetto, si applicherà la regola generale dell’estensione del recesso a tutti i soci.

3.4 La legittimazione all’esercizio del diritto di recesso

Ai sensi  dell’art. 2437 c.c., la legittimazione al recesso spetta ai soci che non hanno concorso alle delibe-razioni che hanno determinato scelta del socio di uscire dalla società.

Per concorso si intende non solo la manifestazione di un voto favorevole ma anche la semplice votazione sul tema oggetto dell’assemblea che ha assunto la delibera; legittimato al recesso è quindi sia il socio dissenziente che quello assente.

In assenza di diverse previsioni statutarie, fra i legittimati possono comprendersi anche i titolari di azioni senza diritto di voto o con diritto di voto limitato, i titolari delle azioni di godimento e i proprietari di azioni sottoposte a pegno, sequestro od usufrutto il cui diritto di voto è esercitato dal creditore pignoratizio.

3.5 La revoca della delibera di legittimazione del recesso e lo scioglimento della società

Ai sensi dell’art. 2347-bis c.c. il recesso non può essere esercitato o se già esercitato non produce effetto se, entro 90 giorni, la società revoca la delibera che ne è stata la causa ovvero decida lo scioglimento della società.

La ratio della norma consiste nell’esigenza di eliminare l’impatto negativo che può avere il recesso in termini di rimborso della quota azionaria, attraverso la revoca della delibera che ha causato l’uscita del socio.

L’eventuale impugnazione della delibera non sospende l’efficacia del recesso in attesa della sentenza definitiva. In caso contrario, infatti, il socio sarebbe costretto ad attendere le lungaggini del procedimento giudiziario prima di ottenere la liquidazione, senza considerare che potrebbero essere proposte pretestuose impugnazioni, al solo scopo di ritardare la liquidazione e il rimborso delle azioni.

3.6 Modalità di esercizio del recesso e conseguenze

Ai sensi dell’art. 2437-bis c.c., le azioni per le quali il socio esercita il recesso debbono essere depositate presso la sede sociale. Il deposito deve essere eseguito contestualmente all’invio della comunicazione di recesso ai soci.

Il deposito delle azioni è volto a tutelare le legittime aspettative di terzi potenziali acquirenti, impedendo che le azioni vengano alienate, subito dopo il recesso e prima di ottenere il rimborso della quota, a coloro che, pur essendo allettati dall’idea di entrare a fare parte della compagine, non siano ancora a conoscenza dell’avvenuta comunicazione di recesso.

Secondo l’indirizzo prevalente della giurisprudenza, il recesso è efficace dal momento in cui la relativa comunicazione giunge alla società. Ciò implica importanti conseguenze anche sulla liquidazione della quota, poiché determina il socio receduto è estraneo ad eventuali operazioni di trasformazione, fusione o aumento di capitale che si verifichino nel periodo intercorrente tra la dichiarazione di recesso e la liquidazione della quota, nonché rispetto agli effetti che tali operazioni possono provocare sul patrimonio societario.

A differenza di quanto previsto per le società personali, per le società di capitali l’art. 2437 primo comma c.c. consente che il diritto di recesso venga esercitato anche parzialmente, senza investire l’intera partecipazione. Il socio, pertanto, esercitando il diritto di recesso, può, anziché uscire definitivamente dalla compagine societaria ottenendo una somma di denaro corrispondente al valore delle proprie azioni, semplicemente modificare la tipologia o ridurre l’entità del proprio investimento, conservando almeno in parte lo status di socio.

Ai sensi dell’art. 2437-bis c.c., per esercitare il diritto di recesso il socio deve inviare una lettera raccomandata entro quindici giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese della deliberazione che la legittima, ovvero dal momento in cui il socio è venuto a conoscenza del fatto che giustifica l’uscita, indicando le sue generalità, il domicilio per le comunicazioni inerenti al procedimento, numero e della categoria delle azioni per le quali recesso viene esercitato.

Secondo la giurisprudenza prevalente, il recesso può essere revocato solo entro gli stessi termini previsti per la comunicazione di recesso, mentre non ha effetto se espressa dopo tale scadenza predetta, dato che la dichiarazione non può essere subordinata a condizioni che ne rendano incerti gli effetti nel tempo a garanzia dell’esigenza di certezza che sottende alla rapida definizione degli assetti societari.

3.7  La liquidazione delle azioni

Ai sensi dell’art. 2437-ter c.c. ,il socio ha diritto alla liquidazione del valore delle azioni per le quali esercita il recesso.

Per scongiurare il pericolo di sottostima del valore della quota del socio recedente, quinto comma dell’art. 2437- ter, c.c. riconosce a quest’ultimo il diritto di ottenere copia a proprie spese e di visionare la documentazione relativa alla determinazione del valore delle azioni, nei quindici giorni precedenti la convocazione dell’assemblea, in modo da verificare il metodo ed i criteri scelti per la valutazione delle azioni di sua appartenenza. Tale diritto spetta al socio anche nei casi di recesso derivante da fatto diverso da una delibera assembleare e nei casi di recesso convenzionale.

In ipotesi di recesso inderogabile dovuto a delibera assembleare, la valutazione dovrà essere resa nota al socio quanto prima e comunque non oltre la data fissata dall’assemblea, in modo da garantire una partecipazione consapevole finalizzata ad un’eventuale azione di opposizione.

I documenti accessibili al socio sono costituiti dai prospetti contabili redatti degli amministratori, dal collegio sindacale e dal soggetto incaricato della revisione legale dei conti e devono essere idonei a evidenziare l’iter logico seguito nella stima per la valutazione delle azioni.

Per le società non quotate, il valore delle azioni viene determinato dagli amministratori, sentito il parere dei sindaci e dell’eventuale soggetto incaricato della revisione contabile, in considerazione di tre parametri (art. 2437-ter, secondo comma c.c.):

  • la consistenza patrimoniale della società, cioè il valore effettivo della società al di là dei valori storici e delle valutazioni prudenziali, stabilito non solo con riguardo agli elementi patrimoniali attivi e passivi, materiali ed immateriali, iscritti nell’ultimo bilancio di esercizio
  • risultanti dalle scritture contabili, bensì a tutte le poste attive e passive registrabili al momento della stima;
  • le prospettive reddituali della società, cioè i correttivi della situazione patrimoniale attuale, basati sulla capacità della società di produrre reddito nel futuro determinabile attraverso l’attualizzazione dei flussi di reddito previsti per l’epoca nella quale avverrà la valutazione.
  • l’eventuale valore di mercato delle azioni, in modo da esprimere in modo più concreto il valore della quota, con riferimento a transazioni non lontane dalla data di determinazione del valore delle azioni.

La società potrà anche avvalersi di criteri di liquidazione convenzionali stabiliti tra i  soci al momento della costituzione o in un momento successivo. Dovranno in tal caso essere indicati tutti gli elementi dell’attivo e del passivo del bilancio che possono essere rettificati rispetto ai valori risultanti dal bilancio medesimo, oltre ai criteri di rettifica ed agli altri elementi suscettibili di valutazione patrimoniale che devono essere tenuti in considerazione. I criteri convenzionali di liquidazione non potranno comunque condurre a valori inferiori rispetto a quelli che si sarebbero ottenuti con il criterio legale.

L’art. 2437-quater c.c. prevede un procedimento di rimborso del valore delle azioni al socio uscente a tappe successive, nella quale le azioni vengono offerte agli altri soci secondo un ordine predeterminato e rigoroso che ha come scopo principale quello di mantenere integro il patrimonio.

Il primo passaggio consiste nell’offerta delle azioni del recedente agli altri soci od ai possessori di obbligazioni convertibili, in proporzione al numero di azioni possedute o al rapporto di cambio; i titoli non alienati sono riservati a coloro che hanno esercitato il diritto d’opzione, mentre, in caso di mancata prelazione da parte dei soci, le azioni non collocate vengono distribuite presso terzi od offerte nei mercati regolamentati dagli amministratori.

In caso di mancato collocamento sul mercato, le azioni verranno rimborsate mediante l’acquisto da parte della società, la quale potrà utilizzare le riserve disponibili. In mancanza di riserve disponibili, sarà necessario convocare l’assemblea per decidere se ridurre il capitale sociale o deliberare lo scioglimento della società.

4. Il recesso nelle S.r.l.

4.1 Le cause di recesso previste dalla legge

Il legislatore ha distinto la disciplina del recesso dalla S.r.l. da quella dettata in tema di S.p.A.; tuttavia alcune delle cause di recesso nelle S.r.l., elencate nell’art. 2473 c.c., coincidono con quelle delle S.p.A. In particolare, sono identiche per entrambe le tipologie di società le seguenti cause (per le quali si rimanda al capitolo precedente sul recesso nelle S.p.A.):

  • il trasferimento della società all’estero;
  • la revoca dello stato di liquidazione;
  • l’eliminazione di una preesistente causa statutaria di recesso;
  • il cambiamento del tipo di società;
  • la società costituita a tempo indeterminato
  • le società sottoposte ad attività di direzione e coordinamento;
  • l’ introduzione o soppressione di clausole compromissorie

In tutti questi casi- per i quali si rimanda a quanto già esposto in tema di S.p.A.- la legittimazione a recedere spetta al socio che non abbia consentito alla delibera o al compimento dell’operazione, ovvero, al socio dissenziente, assente o astenuto.

Altre ipotesi di recesso previste dall’art. 2473 c.c., che non hanno invece riscontri nella disciplina della S.p.A., sono:

  • il compimento di operazioni che comportino sostanziali modificazioni dell’oggetto della società così come indicato nell’atto costitutivo;
  • il compimento di operazioni che comportano sostanziali modificazioni dei particolari diritti attribuiti ai soci in merito all’amministrazione della società e la distribuzione degli utili;
  • il cambiamento dell’oggetto sociale;
  • la fusione o scissione della società.

Per quanto riguarda il recesso motivato dall’intervenuto cambiamento dell’oggetto sociale, la disciplina è differente rispetto a quella corrispondente prevista per le S.p.A., in quanto l’art. 2473 c.c. si riferisce al cambiamento dell’oggetto sociale tout court, senza la precisazione che lo stesso debba implicare un cambiamento significativo dell’attività della società (come invece indicato invece alla lett, a) del primo comma dell’art. 2437 c.c.).

Tuttavia, anche con riferimento alle S.r.l., si ritiene che la modifica dell’atto costitutivo relativa all’oggetto sociale legittimi il socio non consenziente ad esercitare il recesso solo se accompagnata da un adeguato grado di sostanzialità e significatività, non essendo sufficiente una qualsiasi modifica dell’oggetto, anche se di lieve entità. Si ritiene in tal senso sufficiente ad integrare i presupposti di un cambiamento “significativo” dell’oggetto sociale una modifica che comporti una variazione del rischio d’impresa e quindi della convenienza dell’investimento per i soci, come ad esempio nel caso del passaggio di una società da operativa a holding, di una modifica nell‘oggetto dei prodotti, etc. Viceversa, modifiche secondarie dell’oggetto sociale, come ad esempio la sua estensione a settori accessori della produzione o la riduzione degli originari settori di intervento, non danno luogo al diritto di recesso dei soci.

Con riferimento invece al compimento di operazioni che determinino un cambiamento sostanziale dell’oggetto della società, il socio può recedere non solo quando la modifica abbia origine da una regolare delibera assembleare alla quale non abbia consentito o partecipato, bensì anche e soprattutto a seguito di decisioni autonome degli amministratori (per le quali potrebbe esperire l’azione di responsabilità) o di decisioni dei soci adottate in violazione della legge. A tal proposito, possono giustificare il recesso del socio quelle deliberazioni che modificano sostanzialmente l’oggetto sociale, quali l’aggiunta, la riduzione o la variazione di attività complementari che generalmente coincidono con operazioni di ristrutturazione, la cessione dell’azienda sociale o l’acquisizione di un’azienda che operi in settori diversi.

Infine, con riferimento al compimento di operazioni che comportano una rilevante modifica dei diritti attribuiti ai soci, l’art. 2468 c.c. dispone che, fermo restando il divieto di rappresentare le partecipazioni dei soci tramite azioni e la regola generale per cui i diritti sociali spettano in proporzione alla partecipazione posseduta da ciascuno, l’atto costitutivo può sempre prevedere l’attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l’amministrazione della società o la distribuzione degli utili; qualora lo statuto preveda che tali diritti e facoltà sono modificabili con il consenso della maggioranza (anziché con il consenso di tutti i soci), il socio dissenziente avrà diritto di recedere.

Nel Codice civile vi sono poi altre due disposizioni che prevedono  cause di recesso del socio dalla S.r.l. Si tratta in particolare di:

  • l’art. 2469 c.c., secondo comma, che prevede il diritto di recesso del socio l’atto costitutivo della cui società preveda l’intrasferibilità delle partecipazioni o ne subordini il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o di terzi senza prevederne condizioni e limiti, o ponga condizioni o limiti che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte;
  • l’art. 2481-bis, primo comma, c.c. secondo il quale i soci esclusi dalla sottoscrizione dell’aumento di capitale sociale tramite offerta di quote di nuova emissione a terzi possono esercitare il diritto di recesso.

4.2 Le cause di recesso previste nello statuto

L’art. 2437 c.c. prevede che i soci possono stabilire nell’atto costitutivo della società quali possano essere le cause di recesso, mediante l’inserimento di un’apposita clausola nello statuto.

Anzitutto, è possibile ampliare i casi in cui il recesso sia collegato al dissenso dei soci di minoranza. Così, ad esempio, può essere stabilito il recesso a seguito di deliberazioni riguardanti gli amministratori: loro nomina o revoca, attribuzione ad essi della delega in sede di atto costitutivo per l’aumento del capitale sociale (art. 2481 c.c.). Ugualmente, in caso di deliberazioni riguardanti l’approvazione del bilancio o la destinazione degli utili, o anche il trasferimento della sede non già all’estero ma in altra provincia o regione. La decisione di prorogare il termine della società costituisce un’altra causa tipica di recesso che può essere prevista nello statuto delle S.r.l.

Il recesso può essere altresì previsto in dipendenza di eventi che non hanno a che fare con l’adozione di deliberazioni da parte dei soci, come ad esempio in caso di performance economiche negative della società, o di fatti gestionali specifici come ad esempio il mancato rinnovo di contratti sociali, il mancato rilascio o la revoca di autorizzazioni amministrative per lo svolgimento di determinate attività, l’ingresso della società in nuovi mercati e l’alienazione o l’acquisto di determinate attività.

Infine, possono essere previste nello statuto della S.r.l. anche ipotesi di recesso per giusta causa, quali il dissidio insanabile insorto fra i soci, o altri fatti soggettivi come la trascuratezza o l’incapacità degli amministratori, la condotta immorale dei soci, la mancata esclusione di un socio al verificarsi dei presupposti previsti nell’atto costitutivo, o il verificarsi di situazioni che portino ad escludere la possibilità di una proficua prosecuzione dell’attività sociale, come l’uscita dalla compagine sociale di determinati soci con perdita in misura notevole dei conferimenti.

È  invece discussa la possibilità di inserire nello statuto anche ipotesi di recesso ad nutum. L’opinione prevalente è in senso contrario, analogamente a quanto ritenuto per le S.p.A. Non mancano tuttavia opinioni che ammettono tale possibilità nelle S.r.l., essendo tra l’altro legalmente previsto il recesso ad nutum anche in caso di intrasferibilità delle quote e di società contratta a tempo indeterminato.

Le clausole dello statuto che stabiliscono il divieto o il mero gradimento per la costituzione del pegno o dell’usufrutto sulla quota non comportano il diritto di recesso.

Se la società è a tempo determinato, il recesso è ammesso se lo statuto limita la circolazione delle quote, cioè  se prevede l’intrasferibilità (anche mortis causa) delle quote, o ne subordini la cessione al mero gradimento di organi sociali, di soci o di terzi (ovvero se il gradimento non è soggetto ad alcuna condizione o limite).

Il comma sesto dell’art. 2437 c.c. pone comunque il divieto di eliminare o rendere più gravoso l’esercizio delle cause di recesso previste al comma 1, consentendo invece di agevolarne l’esercizio con l’adozione di clausole statutarie più vantaggiose.

4.3 Legittimazione e modalità di comunicazione  del recesso

Ai sensi dell’art. 2473 c.c., sono legittimati al recesso i soci che non hanno consentito all’adozione della delibera addotta a giustificazione della volontà di uscire dalla compagine nei casi ivi previsti. Come nella S.p.A., sono quindi legittimati i soci assenti, astenuti e dissenzienti.

In ipotesi di recesso per causa non derivante da una delibera assembleare ma dalla legge o dall’atto costitutivo, ciascun socio ha diritto al recesso, a prescindere da una valutazione negativa della gestione dell’impresa o della decisione dei soci; si pensi ad esempio alla società costituita a tempo indeterminato, dalla quale chiunque può decidere di uscire al solo fine di disinvestire la propria quota e non restare vincolato ad libitum ad un’attività che può non rispondere più alle sue esigenze.

La stessa regola vale ovviamente nel caso di recesso ad nutum, statutariamente non vincolato ad un determinato atto o fatto ma rimesso all’insindacabile valutazione del socio recedente.

A differenza delle S.p.A., il legislatore non ha dettato alcuna modalità per l’esercizio del diritto di recesso per i soci di S.r.l. Spetta, quindi, all’atto costitutivo disporre le modalità per il suo esercizio, le quali non possono essere tali da rendere gravoso l’esercizio del diritto (cfr. per le società per azioni, art. 2437 c.c.).

Di regola il recesso non è un atto formale, ma può risultare anche da un comportamento concludente (art. 2473 c.c.). Il recesso, quindi, si attua e diviene efficace per effetto della sola manifestazione di volontà unilaterale del socio recedente, senza che occorra alcuna accettazione da parte della società.

Tuttavia, è opportuno avere prova dell’avvenuta comunicazione del recesso, ad esempio inviandolo per iscritto a mezzo raccomandata a/r, PEC, notifica per ufficiale giudiziario, comunicazione scritta firmata per ricevuta dal rappresentante legale della società.

In via di principio, il socio ha il potere di revocare il recesso.

Il recesso è efficace dopo 180 giorni dalla comunicazione alla società, senza che necessiti alcuna accettazione da parte della società stessa, salvo sia previsto un termine maggiore ma comunque non superiore ad un anno.

Prima della scadenza di tale termine, i soci possono prevenire l’operatività del recesso alternativamente:

  • decidendo di sciogliere la società;
  • escludendo il socio, ma solo a condizione che sussista una giusta causa.

Il recesso deve essere comunicato dal socio entro quindici giorni dall’iscrizione nel registro delle imprese della delibera che lo legittima. In tal caso, la società può rendere inefficace il recesso del socio, deliberando  la revoca della delibera che aveva legittimato il recesso entro il termine di 90 giorni. Se invece il fatto che legittima il recesso è diverso da una deliberazione, esso è esercitato entro trenta giorni dalla sua conoscenza da parte del socio.

4.4 La liquidazione  della quota del socio che ha esercitato il recesso

A seguito dell’esercizio del recesso, il socio ha diritto di ottenere dalla società la liquidazione della propria quota detenuta nella società stessa.

Per quanto attiene alla determinazione del valore della quota del socio che ha esercitato il recesso, l’art. 2473, comma 3, c.c. prevede che la stessa deve essere determinata tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso. La quota del socio che ha esercitato il recesso deve essere quindi liquidata in base al valore economico effettivo della quota stessa, al momento del recesso.

La liquidazione comprende anche la partecipazione al risultato economico delle operazioni in corso alla data del recesso. Occorrerà quindi considerare, ad esempio, le trattative o l’assunzione di impegni per la vendita di merci in magazzino, anche se la cessione è perfezionata successivamente alla data di scioglimento del rapporto del singolo socio.

Lo statuto non può prevedere criteri di valutazione della quota diversi da quello indicato dalla legge, ma può prevedere criteri per determinare in modo oggettivo il valore di mercato della partecipazione,  ad esempio determinando il valore dell’avviamento  calcoli matematici rapportati alla redditività degli esercizi precedenti. Sono invece, da ritenersi illecite le clausole che determinano il rimborso della partecipazione in misura pari al valore nominale della stessa o che tengano in considerazione i soli valori contabili, o che rimettono ad una decisione periodica dei soci, anche unanime, la predeterminazione del valore delle partecipazioni ai fini di un eventuale recesso.

Il valore di mercato di cui all’articolo 2473 c.c. si riferisce alle quote sociali oggetto di recesso, non ai singoli beni che costituiscono il patrimonio sociale. Il valore di mercato potrebbe risultare superiore o inferiore al patrimonio sociale; la prima ipotesi si verificherà quando emergano beni immateriali non contabilizzati a bilancio, ovvero in presenza di un avviamento; la seconda ipotesi si verificherà ad esempio quando un’impresa sia in perdita, o il bilancio contenga significative minusvalenze non contabilizzate.

La valutazione della quota segue quindi regole in parte diverse da quelle impiegate per la valutazione del patrimonio netto sociale, previste dalla legge per la formulazione del bilancio di esercizio.

Così, ad esempio, l’avviamento, a meno che non sia un importo originato dal pagamento a terzi per l’acquisto di un’azienda, non viene espresso nel bilancio di esercizio, e quindi non trova espressione nel patrimonio societario, mentre è considerato in sede di determinazione del valore della quota. Ugualmente accade qualora siano presenti elementi immateriali, ma non contabilizzati a bilancio, quali brevetti o marchi.

All’inverso, qualora siano presenti minusvalenze non contabilizzate (valori di magazzino gonfiati, crediti inesigibili non svalutati, fondi rischi non evidenziati, perdite permanenti di valore sugli immobilizzi etc.) il valore della quota sarà proporzionalmente minore rispetto alla quota di patrimonio netto desumibile dal bilancio.

Poiché la legge non indica specifici criteri di valutazione da adottare per la valutazione delle quote sociali, nella prassi vengono adottati diversi criteri, tratti dalla scienza aziendalistica. Il criterio più utilizzato è il modello patrimonialesemplice o complesso, integrato da modelli reddituali o finanziari (metodo discounted cash flow), nella misura in cui siano praticabili e/o applicabili. Si ritiene inoltre che ai fini del calcolo del valore della partecipazione del socio nella società non si debba tener conto di premi di maggioranza o sconti di minoranza, né di eventuali diritti particolari del socio.

L’ art. 2473 c.c. dispone che il rimborso della quota al socio deve avvenire secondo una ben determinata procedura, che si articola in steps successivi.

In primo luogo, la quota deve essere liquidata al socio receduto mediante acquisto da parte dei soci proporzionalmente alle loro partecipazioni.  A differenza di quanto previsto per le S.p.A., per le S.r.l. non è contemplato il diritto di opzione a favore dei soci restanti: di conseguenza non è prevista neppure la facoltà di riservarsi il diritto di prelazione sull’intera partecipazione non optata da un terzo concordemente individuato dai soci medesimi.

Qualora l’acquisto da parte dei soci  non avvenga, il rimborso è effettuato utilizzando riserve disponibili. La S.r.l. non può detenere partecipazioni proprie, la stessa non può acquistare le quote del recedente, e pertanto a seguito del rimborso operato tramite l’utilizzo delle riserve i soci restanti vedranno corrispondentemente aumentare la misura della loro partecipazione.

In mancanza di riserve disponibili, dovrà essere corrispondentemente ridotto il capitale sociale. Ai sensi dell’art. 2482 c.c., la riduzione può avvenire sia mediante il rimborso delle quote ai soci, sia mediante liberazione di questi ultimi dall’obbligo di effettuare i versamenti ancora dovuti, con il solo divieto di riduzioni che scendano al di sotto del minimo legale di diecimila Euro.

Qualora infine  non sia possibile il rimborso della partecipazione del socio receduto secondo le modalità di cui sopra, la società dovrà essere sciolta o  posta in liquidazione.

4.5 Il contenzioso sulla determinazione del valore della quota

Ai sensi dell’art. 2473 c.c., il rimborso della partecipazione per cui è stato esercitato il diritto di recesso deve essere eseguito entro 180 giorni dalla comunicazione del medesimo alla società.

Non è infrequente, tuttavia, il caso in cui questo termine venga superato, considerato anche che non vi sono sanzioni o effetti conseguenti al suo superamento. Spesso, infatti, sul valore delle quote nascono dispute che si protraggono nel tempo e che danno luogo ad un contenzioso.

Sulla valutazione della quota del socio che ha esercitato il recesso si riscontra un notevole contenzioso, derivante dalla presenza di due interessi contrapposti: da una parte il diritto del socio ad ottenere una somma corrispondente al valore reale della propria quota, e dall’altra l’interesse della società a conservare un patrimonio sufficiente alla prosecuzione dell’attività sociale. D’altra parte, la valutazione effettuata dagli amministratori della società rischia di non essere sempre equa e imparziale, in quanto la società è parte interessata al processo valutativo.

In assenza di una clausola compromissoria nello statuto della società che regolamenti la materia, qualora – come spesso accade – vi sia divergenza sul valore della quota la valutazione della società e quella del socio, si aprirà un contenzioso presso il Tribunale sulla determinazione del valore delle quote.

In tal caso, ai sensi del 3° comma dell’art 2473 c.c., in caso di disaccordo sul valore, la sua determinazione viene effettuata tramite relazione giurata di un esperto nominato dal Tribunale, il quale, peraltro, dovrà effettuare tale valutazione prendendo come riferimento la data in cui è stato esercitato il recesso (distante nel tempo da quella in cui il perito effettua la valutazione stessa).

La determinazione del valore delle quote del socio che ha esercitato il recesso implica pertanto valutazioni notevolmente complesse, e richiede l’applicazione di tecniche specialistiche che vanno al di là delle conoscenze possedute normalmente da un socio, anche informato, sull’attività aziendale. E’ quindi essenziale avvalersi, fin da prima della comunicazione del recesso, di uno studio legale specializzato in diritto societario.

Avv. Valerio Pandolfini

Avvocato Diritto Societario Consulenza Legale

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Le informazioni contenute nel presente articolo hanno carattere generale e non sono da considerarsi un esame esaustivo né intendono esprimere un parere o fornire una consulenza di natura legale. Le considerazioni e opinioni di seguito riportate  non prescindono dalla necessità di ottenere pareri specifici con riguardo alle singole fattispecie descritte. Di conseguenza, il presente articolo non costituisce un(né può essere altrimenti interpretato quale) parere legale, né può in  alcun modo considerarsi come sostitutivo  di una consulenza legale specifica.