Con la sentenza n. 5059 del 14.09.2020, il Tribunale di Roma afferma che, in tema di licenziamento disciplinare, il radicale difetto di contestazione dell’infrazione determina l’inesistenza dell’intero procedimento (e non solo l’inosservanza delle norme che lo disciplinano), con conseguente applicazione della tutela reintegratoria. Show Il fatto affrontato Il lavoratore impugna giudizialmente il licenziamento disciplinare irrogatogli dalla società datrice, mediante una lettera contenete l’indicazione generica dei fatti addebitatigli e senza una preventiva contestazione. La sentenza Il Tribunale di Roma rileva, preliminarmente, che nel procedimento disciplinare a carico del lavoratore, l'essenziale elemento di garanzia in favore dello stesso è dato dalla contestazione dell'addebito, posto che la successiva comunicazione del recesso ben può limitarsi a richiamare quanto in precedenza contestato. Per il Giudice ne consegue che la totale mancanza della contestazione disciplinare non può integrare un mero vizio formale, ma - precludendo in origine la stessa possibilità di valutare la sussistenza dell’illecito - deve essere equiparata all’ipotesi di insussistenza del fatto. Secondo la sentenza, dunque, un fatto disciplinarmente rilevante, se non contestato, deve essere considerato insussistente ed il licenziamento cui ha dato origine deve essere annullato, con applicazione della tutela reintegratoria. Su tali presupposti, il Tribunale di Roma accoglie - sotto questo profilo - il ricorso del dipendente, reintegrandolo nel posto di lavoro precedentemente occupato. A cura di Fieldfisher Testo integrale con note e bibliografia Cassazione 4879-2020 Cassazione 16265-2015 Cassazione 18418-2016 Cassazione 19632-2018 Cassazione 20540-2015 È noto che, con la riforma c.d. Fornero, l’originaria unica conseguenza prevista dall’art. 18 legge 300/1970 per un licenziamento
illegittimo, ossia la reintegra sul posto di lavoro, è stata “spacchettata” in quattro diverse forme di tutela sulla base del vizio che affligge il provvedimento: reintegratoria forte (comma 1), reintegratoria debole (comma 4), indennitaria forte (comma 5) ed indennitaria debole (comma 6). Appare evidente l'intenzione del legislatore di approntare tutele differenziate per il licenziamento illegittimo a seconda del vizio che inficia lo stesso: da quella più radicale (c.d. reintegra forte) per le illegittimità gravi, a quella di contenuto più blando (c.d. indennitaria debole) per licenziamenti fondati nel merito ma viziati da irregolarità formali o procedurali: si vedrà, peraltro, che la giurisprudenza non ha condiviso questa impostazione di base, riportando all'interno delle categorie del fatto insussistente o del licenziamento (sostanzialmente) illegittimo situazioni in cui il vizio del provvedimento non risiede nella situazione fattuale sottostante, ma nel quando o nel quomodo della reazione datoriale. Contenuto dell’art. 7 legge 300/1970 e possibili violazioni. a) Assenza della contestazione disciplinare L'obbligo di contestare preventivamente il fatto disciplinarmente rilevante è sancito, come ricordato poc'anzi, dall'articolo 7, comma 2, legge 300/1970; peraltro, il richiamo al fatto contestato è presente nelle norme che prevedono la reintegra nel caso di annullamento del licenziamento per insussistenza del fatto (articolo 18, comma 4 della stessa legge e articolo 3, comma 2, d.lgs. 23/2015 ). b) Genericità della contestazione disciplinare Per quanto riguarda la contestazione disciplinare generica, la posizione della giurisprudenza è sostanzialmente
analoga alla situazione precedente: infatti, poiché “la contestazione disciplinare deve delineare l'addebito, come individuato dal datore di lavoro, e quindi la condotta ritenuta disciplinarmente rilevante, in modo da tracciare il perimetro dell'immediata attività difensiva del lavoratore” , laddove la contestazione dell'infrazione non sia sufficientemente specifica, al punto da impedire una compiuta difesa del lavoratore, il licenziamento non può fondarsi su tali fatti ed è quindi giocoforza
che si applichino le medesime conseguenze in cui venga accertata l'insussistenza del fatto contestato. Il difficile rapporto tra procedimento disciplinare e giudizio Come ricordato in precedenza, tre sono gli elementi che portano parte
della giurisprudenza a ritenere che l'assenza o la genericità della contestazione travolgano la validità del licenziamento in modo radicale: a) L’omessa contestazione disciplinare e il suo fondamento normativo; La prima critica che deve essere mossa all'orientamento giurisprudenziale sopra citato ha una duplice natura: in primo luogo, questo pare dimenticare che l'obbligo di contestare previamente i fatti disciplinarmente rilevanti trova la sua fonte (solo) nell'articolo 7 legge 300/1970; in secondo luogo, con un salto logico di dubbia condivisibilità, si trasferisce sotto il profilo del fatto un vizio procedurale. b) Evitare indebiti vantaggi processuali. Come secondo argomento, la Suprema Corte ha sostenuto l'insufficienza della sanzione prevista dall'articolo 18 comma 6 legge 300/1970 qualora manchi la contestazione disciplinare, poiché in tal caso “il datore di lavoro potrebbe allegare per la prima volta in giudizio, e dopo aver letto il ricorso del lavoratore, i fatti posti a base del licenziamento, potendo beneficiare, ove tali fatti siano provati
ed idonei a configurare un valido motivo di licenziamento, di un regime sanzionatorio contenuto se raffrontato alle ulteriori sanzioni previste dalla medesima disposizione”. c) L’insussistenza del “fatto contestato”. L’ultimo argomento utilizzato dalla Corte per affermare che l’omessa contestazione disciplinare porta alla reintegra muove dall’analisi letterale dell’art. 18 comma 4 legge
300/1970 (l’art. 3, comma 2, d.lgs. 23/2015 ha una statuizione analoga), che prevede la reintegra qualora vi sia “insussistenza del fatto contestato”. Il ragionamento appare lineare: qualora non vi sia la contestazione disciplinare, “il fatto contestato non esiste a priori” . La difesa in giudizio: un diritto inviolabile (per entrambi) La tesi fatta propria dalla giurisprudenza sin qui richiamata, identificando l'oggetto dell'indagine in sede giudiziale con il contenuto della lettera di contestazione disciplinare, porta come corollario l'impossibilità, per il datore di lavoro, di difendersi in giudizio offrendo in prova dei fatti che non sono stati già
enucleati nella lettera di addebiti. Cosa succede se si viene licenziati per giusta causa?La giusta causa, pertanto comporta il recesso immediato dal rapporto di lavoro, senza neppure erogazione, da parte del datore di lavoro, dell'indennità di preavviso.
Quanto costa licenziare un dipendente per giusta causa?Secondo i criteri ridefiniti dalla circolare n. 137/2021 e per il massimale previsto dalla circolare n. 26/2022, il ticket di licenziamento ammonta a euro 557,92 (41% del massimale mensile di 1.360,77) per ogni anno di servizio del lavoratore cessato, fino ad un massimo di euro 1.673,76.
Da quando decorre il licenziamento per giusta causa?Come sancito dalla Cassazione, la decorrenza del licenziamento disciplinare coincide con il giorno in cui è stata formalmente contestata la violazione, vale a dire dalla data in cui il lavoratore ha ricevuto la lettera che ha dato il via alla procedura [2]. Quello deve essere considerato l'ultimo giorno di lavoro.
Chi viene licenziato per giusta causa ha diritto alla disoccupazione?Poiché il licenziamento per giusta causa costituisce una fattispecie di perdita involontaria del lavoro, il lavoratore acquisisce comunque il diritto di accesso all'indennità Naspi ossia il trattamento di disoccupazione erogato dall'INPS, purché in possesso dell'ulteriore requisito richiesto.
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