Il 7 agosto 1420 si cominciò a lavorare per sedici anni alla realizzazione della celebre Cupola; da vari mesi si parla di celebrazioni, conferenze, spettacoli come la
messa in scena del testo Con il cielo dentro del poeta Davide Rondoni e l’opera della compositrice Silvia Colasanti, Oltre l’azzurro. Fra settembre e ottobre sono previste proiezioni tridimensionali notturne per mettere a nudo l’ossatura interna, mostrandone i segreti costruttivi. Gli eventi programmati per la primavera, invece, hanno subito forzatamente cambi di data: era molto attesa una nuova composizione musicale del maestro Salvatore Sciarrino che avrebbe dovuto essere
eseguita da strumentisti e cantori fino sui ballatoi della Cupola, ma dovremo aspettare. Intanto ricordiamo dove e quando inizia questa storia affascinante: siamo a Firenze, in un momento unico: operavano in vari campi dell’arte e dell’architettura Masaccio, Donatello, Alberti, Ghiberti, Jacopo della Quercia, Michelozzo che
gravitavano nell’orbita di Cosimo il Vecchio e nella cerchia degli Umanisti. Dal 1296 erano in corso i lavori per la costruzione della Cattedrale di Santa Maria del Fiore che, alla consacrazione, il 25 marzo 1436, era la più grande chiesa al mondo. Il Battistero, dedicato al patrono San Giovanni, celebre anche per le sue tre splendide porte bronzee, era stato edificato intorno all’XI secolo e Dante lo ricorda più volte nella Commedia, perché lui stesso vi fu battezzato, come il suo avo
Cacciaguida. La torre campanaria, detta campanile di Giotto, fu iniziata all’incirca insieme alla Cattedrale ed è situata in una posizione inusuale: proprio di fianco, per esaltarne l’importanza, l’altezza (82 m.) e per non nascondere la vista della futura cupola. Dicono fosse piccolo, gracile, brutto, sproporzionato nelle forme: la sua maschera funeraria ce lo mostra con un naso pronunciato, orecchie grandi, labbra sottili, calvo; pare anche che avesse un caratteraccio e possedesse uno strano senso dell’umorismo, che lo portava a fare scherzi crudeli. Sappiamo che il padre era un notaio della famiglia Lapi che lo fece studiare, ma non ne ostacolò il talento, tanto che lo mise a bottega- come si diceva allora- da un bravo orafo. Poté quindi gradualmente farsi conoscere e iniziare a lavorare per prestigiosi committenti, finché arrivò il concorso, bandito nel 1418. I problemi da affrontare e risolvere erano enormi: si trattava infatti della cupola più grande mai costruita dopo quella del Pantheon, appoggiata su una base ottagonale, larga più di 40 metri. Le tecniche tradizionali, con l’utilizzo di legno, travi, armature parevano inattuabili;
ci voleva un colpo di genio. Il progetto di Brunelleschi fu vincente, dopo che riuscì a simulare dal vero la sua idea rivoluzionaria: non usare sostegni di alcun genere (eccetto le impalcature, poi rimosse) e procedere solo con mattoni e calcina. Gli esperti dell’Opera del Duomo, come abbiamo già riferito, avrebbero voluto esaminare nel dettaglio il disegno del progetto, ma l’architetto si rifiutava con ostinazione per il timore di venire copiato. Alla fine ebbe la meglio, ma gli fu affiancato,
come consulente e controllore potremmo dire, il Ghiberti. Le fonti e le testimonianze ci dicono che Brunelleschi era estremamente scrupoloso nel progettare ogni minimo dettaglio, tanto da aver inventato anche le macchine che avrebbero dovuto sollevare i materiali. Basta pensare che la base di partenza della Cupola è a 55 m.
metri dal suolo! Un aspetto poco noto, ma non secondario del suo metodo di lavoro riguarda la salvaguardia degli operai (muratori, carpentieri, manovali); nella lunga fase preparatoria era infatti compresa la tutela di chi doveva operare in condizioni estreme: in sedici anni ci furono un solo morto e otto feriti, adeguatamente pagati durante il periodo di malattia. Chi lavorava più in alto o aveva incarichi specifici (come collocare di notte delle fiaccole) aveva una paga maggiorata, ma erano
previste multe salate o addirittura il licenziamento per chi si esponesse a rischi inutili, come coloro che catturavano gli uccelli per mangiarseli o si ubriacavano. Vennero sistemate delle barriere di sicurezza visto che molti operai praticamente vivevano sulle impalcature a decine di metri da terra, con il rischio di vertigini e cadute, e ne scendevano solo un’ora al giorno, o in caso di clima estremamente sfavorevole per il troppo caldo o il troppo freddo. È stato tramandato il nome di un
vero funambolo: Piero, detto Senza-paura, che aveva doti di equilibrista tanto da avere il compito di bagnare i mattoni e i muri esterni nelle pause in cui nessuno lavorava. Articolo di Laura Candiani Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume e Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne. |